Problema etico #2.


Questo post ha piu' di 3 mesi. Il contenuto potrebbe essere obsoleto, non piu' completamente accessibile o mancante di alcune informazioni.

Sicuramente di minore importanza rispetto alla morte di un uomo, ecco il problema etico/morale di oggi.

A scopi di ricerca dove lavoro io si usano i topi e/o i ratti. Tanti topi e tanti ratti. Non siamo gli unici, in tantissimi centri di ricerca si lavora sul topo dato che è un organismo modello con moltissimi vantaggi: si riproducono velocemente, costa "poco" mantenerne tanti, occupano poco spazio, il suo genoma è completamente sequenziato, etc. etc.
Sui topi si testa di tutto per studiare cancro, diabete, malattie genetiche, sostanze chimiche e molto altro. Spesso per questi esperimenti gli animali devono essere sacrificati, ma (almeno qui in Svizzera) gli animali hanno dei diritti e devono essere trattati bene secondo regole piuttosto rigide e non devono soffrire inutilmente.
In generale per la ricerca con gli animali si deve applicare la regola delle 3R: reduce (ridurre il numero di animali), refine (ottimizzare la ricerca allo scopo di usare meno animali o da farli soffrire meno), replace (sostituire gli animali con alternative di livello più basso: invertebrati o colture cellulari).

Ora, tutto questo è sacrosanto. Io e molti altri ricercatori siamo "affezionati" ai nostri topi e il pensiero di doverne uccidere inutilmente non è piacevole.

Ma ora sorge la domanda: alcune persone mi dicono "poverini i topini" quando dico che li uso per ricerca (senza farli soffrire), ma poi sono i primi a dire "che schifo, mettiamo una trappola" se ne dovessero vedere uno per casa. C'è un motivo etico/morale che spinge a dire "poverini i topi di laboratorio"?
E poi: per quale motivo ci si sente meno in colpa a "lavorare" con una mosca o con un verme piuttosto che con un topo? Solo perché il topo è più evoluto?

A domani per un problema etico di portata maggiore.